domenica 5 ottobre 2025

queensryche, 'american soldier'

 


dopo il successo di ‘mindcrime 2’ e del seguente tour, in cui i queensryche suonavano per due ore e mezza eseguendo entrambi i capitoli nel concept per intero, l’ego di geoff tate è a livelli preoccupanti. per fortuna riesce a renderlo utile con un nuovo progetto chiamato ‘american soldier’, per il quale passa mesi a intervistare veterani, reduci e famiglie di soldati che non sono tornati, cercando di mettere insieme una figura che possa rappresentare la tragicità e complessità della figura del soldato negli anni 2000. un’altra grande fortuna è che lo stesso tate sia abbastanza ispirato da comporre una buona quantità di ottimo materiale che prende forma ne 12 pezzi di ‘american soldier’.


mike stone è di nuovo fuori dal gruppo, forse, sta di fatto che le chitarre qualcuno dice le abbia suonate tutte wilton, qualcun’altro che buona parte le abbia suonate ancora slater, di nuovo in produzione. importa poco, lo stato di salute del gruppo come insieme di amici è evidentemente pessimo ma il disco che ne esce è sorprendentemente buono, nonostante l’ennesima produzione discutibile e pessimo mix, di nuovo di kelly gray. le chitarre clippano quasi costantemente, la batteria è compressa oltre ogni dire e mixata a caso, la voce non molla un secondo l’overdrive.

se qua e là ci si perde un po’ nell’anonimato (‘sliver’ o ‘unafraid’, non certo il più grande inizio mai sentito), altrove si azzeccano dei pezzi da 100, come la strepitosa ‘hundred mile stare’, epica e profonda, fa pensare che tate abbia trovato finalmente il modo di raggiungere (quasi) l’intensità dei dischi storici. ‘at 30 thousand ft’ poteva tranquillamente stare su ‘mindcrime 2’, una ballata molto teatrale che nel ritornello si apre in un riff che ricorda da vicino gli anni d’oro dei ryche e si fa metal paranoico per l’assolo centrale mentre ‘a dead man’s words’ riprende alcune suggestioni mediorientali di ‘tribe’ per portarle nel deserto dell’aghanistan; è un altro buon pezzo con qualche bel riff e un clima asfissiante, anche se il testo non è certo un’opera d’arte.


purtroppo la seconda metà del disco crolla nettamente, con una manciata di canzoni che si dimenticano all’istante, due pessime ballate (‘remember me’, una vaccata strappalacrime da romanzo harmony, e ‘home again’, una schifezza sdolcinata in cui tate duetta con sua figlia, agghiacciante) e un solo pezzo degno di nota, il bel singolo ‘if i were king’ che riporta a quel poco di buono che c’era in ‘q2k’ ma riesce ad elaborarlo in modo molto più convincente con piglio epico e un gran bel ritornello.


in fin dei conti non è affatto male ‘american soldier’. quasi tutta la prima metà sta sopra la sufficienza, si potevano tagliare una ventina di minuti e renderlo molto più compatto ma tant’è, pur senza la baracconata del concept precedente riesce ad essere un disco coeso e con una sua personalità. che poi sia la personalità di geoff tate e non dei queensryche è tutta un’altra storia.