è difficile anche solo decidere da
dove cominciare a parlare di questo disco. sono talmente tanti gli
aspetti da considerare che è impossibile parlarne per poche righe
per cui sappiatelo: questo articolo sarà lungo. se vi interessa
mettetevi comodi e parliamone.
contesto: nel '74 gli stati uniti sono
quasi in ginocchio grazie agli anni drammatici dell'amministrazione
nixon, che proprio in questo periodo è massacrata dallo scandalo
watergate che porterà il presidente a dimettersi il 9 agosto, nel
periodo in cui crosby, stills, nash e young stanno girando gli stadi
d'america. il sogno hippie è ormai tramontato da un pezzo e i grandi
raduni non hanno più quasi nulla di quello spirito libero e giovane,
mentre invece si entra in pieno nel periodo di rinascita dell'eroina
che porterà a una lunga serie di tragiche morti.
veniamo ai nostri 4:
crosby, dopo il tour del '71 con gli
altri tre, ha dato alle stampe il capolavoro if i could only remember
my name, epitaffio di quell'epoca morente, per poi allearsi con nash
in un tour acustico (da cui lo splendido another stoney evening) che
porterà all'incisione del loro primo disco in duo e nel frattempo si fa di qualsiasi droga possibile; nash fa la stessa identica cosa,
pubblica il buon (non eccelso) songs for beginners per poi unirsi a
crosby nelle suddette gesta, anche se con un pochino di droga in meno; stills dei tre originali è sicuramente
il più attivo: pubblica il bellissimo esordio e gli fa seguire il
mediocre stephen stills 2 per poi riprendersi con l'enciclopedico
manassas, sottovalutato compendio di tutta la musica americana fino ad allora.
neil young da parte sua dopo il tour di
4-way street esplode nelle classifiche con harvest per poi entrare
nel suo periodo oscuro registrando time fades away (dal vivo, con
anche crosby e nash) e tonight's the night (che però non vedrà la
luce fino al '75) e proprio in mezzo al tour fa uscire on the beach,
completando così quella che verrà definita la “ditch trilogy”.
proprio young e crosby sono quelli che
meglio interpretano storicamente questo periodo, anche nel loro
rifugiarsi pesantemente in droghe e alcol.
in mezzo a tutto questo, il quartetto
si riunisce solo in sporadiche occasioni senza mai accennare ad una
possibile reunion ufficiale, almeno fino al '73. come già detto,
crosby e nash parteciparono alle registrazioni di time fades away di
young, in senso che verso la fine del tour, quando neil era devastato
da droga e tequila e il suo gruppo si stava sfasciando, i due colleghi
si aggiunsero alle date finali del tour. dopo la fine del tour, le
voci di una reunion iniziarono a circolare insistentemente, fino a
quando fu confermato che i quattro erano alle hawaii a lavorare su
nuovo materiale. tuttavia questo materiale non vedrà mai la luce
(qualcosa si trova sul cofanetto csn del '91) e il progetto (chiamato temporaneamente human highway) verrà
abbandonato. nel '74 entra in gioco elliot roberts, manager dei 4 che convince il gruppo a
riunirsi vista l'estrema richiesta da parte del pubblico (che manda
in cima alle classifiche l'inutile best of so far, che aveva però in copertina il bellissimo disegno di joni mitchell fatto proprio per i concerti del '74) e la possibilità
di soddisfarlo in modo rivoluzionario: un tour di due mesi solo in
enormi stati di baseball e football.
proprio l'anno prima bob dylan aveva
fatto il suo grande ritorno sui palchi dopo un lunghissimo periodo e
la richiesta di biglietti aveva battuto ogni record; buona parte del
merito per l'organizzazione del tour andava a bill graham,
leggendario promoter dei fillmore che aveva fatto suonare tutta la
storia del rock nei suoi locali. con lui si organizza un mostro di 31
date in ogni parte degli u.s.a. che durerà poco più di due mesi.
in dichiarazioni successive, i
musicisti hanno iniziato a riferirsi a questo come il “doom
tour”. ci sono vari motivi per questo, vediamoli.
voi provate a immaginare di essere uno
dei gruppi più famosi al mondo che torna a suonare per un tour solo
negli stadi che costa milioni di dollari. nel 1974. non ci vuole
molto a immaginare che lo sfarzo e la bella vita possano venire
facili in una situazione del genere. in questo caso ciò si traduce
in leggende che vogliono montagne di cocaina negli alberghi e nei
camerini, buffet sconfinati di crostacei e tutto ciò che di più
costoso si possa mangiare, donne, macchine e quant'altro. il degenero
ci mise poco ad arrivare e a frammentare di nuovo quell'entità
chiamata csny, almeno giù dal palco (soprattutto young alla lunga si
dimostrò molto insofferente a questo consumismo galoppante) fino ad
arrivare ai classici spostamenti separati e quant'altro derivi da degli ego troppo pompati.
sul palco però era un'altra storia.
nonostante uno stato di forma non eccelso da parte di nessuno dei 4,
i concerti erano un tripudio di jam, armonie, suoni e colori di ogni
tipo, grazie anche all'apporto di musicisti straordinari come russell
kunkel alla batteria, tim drummond al basso (già su harvest di
young) e joe lala alle percussioni. di contro però c'era il fatto
che i sistemi audio del '74 non erano proprio perfetti per concerti
negli stadi e questo si traduceva in pessime spie sul palco ed un
esagerato volume diretto dagli amplificatori che poteva rendere molto
molto difficile cantare, soprattutto quanto si è pieni di coca fino
alle orecchie.
questi sono tutti fattori di cui graham
nash ha dovuto tenere conto nel suo compilare questo csny 1974 (sì,
sono arrivato al disco! ce la possiamo fare.) a 40 anni di distanza
da quel doom tour. lui è infatti l'artefice della compilation che
oggi abbiamo tra le mani, minuzioso lavoro di copia e incolla tra le
varie date registrate per poter dare l'idea al pubblico di oggi di
cosa sia stato quel massacrante tour. e quando dico massacrante non
lo dico a caso: per la prima serata a seattle il quartetto decise di
fare contenti i fan e in più di quattro ore di concerto eseguirono
in tutto 40 pezzi. capirono ben presto che non avrebbero potuto
tenere quel ritmo per due mesi per cui subito la scaletta venne
ridimensionata a sole circa tre ore. robetta, no? ma erano gli anni
70, si poteva fare e il pubblico apprezzava (a metà del set acustico
qualcuno richiede pre-road downs e crosby gli risponde “tranquilli
arriva, siamo qui ancora per un paio d'ore.” boato della folla.).
ogni show era diviso in tre parti: una
prima elettrica, una acustica con spot solisti per ognuno e infine
un'altra elettrica. la tripartizione viene ovviamente mantenuta anche
per i tre cd del cofanetto, com'era stato anche per 4-way street, in
più abbiamo in aggiunta un dvd con dei video inediti da un paio
delle date che purtroppo però non raggiungono neanche l'ora di
durata; almeno la qualità audio è buona, anche se quella video non
eccelsa, ma del resto stiamo parlando di video recuperati di 40
anni... già tanta grazia che ci siano arrivati.
il primo set si apre giustamente con un
pezzo a testa, suonati da tutta la band: love the one you're with è
mutata in un funk rock sbraitato da uno stills fuori di sé (metà
delle parole sono versi praticamente), wooden ships ha tutta la
gloria epica che le spetta e tutto il calore sprigionato dalla penna
di crosby, immigration man trova qui quella che è forse la sua
miglior versione in assoluto col pop di nash reso energico e vibrante
dalla band, poi young attacca il suo evergreen helpless e i toni si
calano un attimo nella morbida coralità propria del quartetto. il
resto del primo cd spazia tra i vari lavori solisti dei 4 per
chiudere con un'eccelsa almost cut my hair, distorta e dilatata in
jam universale. in mezzo spicca l'incredibile versione di on the
beach di young, straziata dai sofferenti solo di chitarra e tirata a
quasi 8 minuti, imperdibile.
ecco dunque arrivare il set acustico,
aperto da stills con la sua change partners. ciò che è bellissimo
qui (come sempre con questi 4) è come tutto il set si svolga con
assoluta naturalezza e libertà: durante i vari brani solisti
qualcuno può aggiungersi a fare i cori, oppure no; magari ci si
siede al piano a fare leggeri fraseggi, o si raddoppia la chitarra,
oppure si sta a guardare ed ascoltare. se mi è permessa
un'osservazione (e anche se non mi è permessa), devo dire che
comunque il set acustico non raggiunge i livelli di intensità
dell'inarrivabile 4-way street. non che non sia bello, assolutamente
no, solo che questo aspetto del gruppo ha già toccato un apice che
per vari motivi non è sorpassabile (al contrario invece qui abbiamo
un sacco di materiale elettrico che di là scarseggiava, pur nella sua
qualità assoluta). questo per dire che sì, c'è the lee shore,
quella gemma distante miglia e miglia persa in mezzo all'oceano, però
è proposta in una versione allargata con basso e batteria e, per
quanto bellissima, non ha il fascino profondo e commovente della
versione del '71. notevoli invece le rielaborazioni di pezzi di young
come only love can break your heart o mellow my mind, arricchite da
preziosi momenti acappella a quattro voci. latita purtroppo crosby in
questo set, pur protagonista di una guinevere sempre toccante e
poetica, mentre young si sbizzarrisce tra inediti (hawaiian sunrise,
love art blues, long may you run), classici (old man, only love can
break your heart) e siparietti come goodbye dick, canzoncina di due
strofe per voce e banjo scritta apposta per la dimissione di nixon,
avvenuta proprio durante un concerto dei csny e annunciata con
entusiasmo da nash al pubblico. già, e nash? l'inglese non manca di
deliziarci con qualche chicca: l'allora inedita fieldworker è qui
forse anche meglio dell'originale, our house è sempre il gioiellino
che è, prison song è commovente nella sua drammaticità e di teach
your children non sto neanche a dire, se permettete. stills da parte
sua non si tira certo indietro e si ritaglia uno spazio per la sporca
word game e la pianistica myth of sisyphus, non particolarmente
adatta a questa sede, prima di tirare le fila di tutto il set
concludendo con quel pezzo di storia della musica chiamato suite:
judy blue eyes, 9 minuti di emozioni una dietro l'altra. menzione a parte la merita la cover a quattro voci di blackbird dei beatles. ora penso a delle parole per descrivervela, magari tra qualche anno le trovo, intanto ascoltatela e piangete.
arriviamo così all'ultimo set, il
quale probabilmente è il migliore dei tre. dopo tutte le belle
parole che ho speso per gli altri due, potete immaginare cosa
intenda. solo a guardare i 10 pezzi che lo compongono c'è da
prendersi un colpo, se a questo aggiungete che il feeling del
concerto è al suo apice e l'elettricità sfrenata della conclusione
porta tutti i pezzi ad un'enfasi incredibile ed un'energia
irresistibile, potrete farvi un'idea del tutto. déjà vu parte
sorniona e psichedelica, poi esplode in riffazzi intrecciati prima di
ricalarsi nei meandri della psichedelia con la sua lunghissima parte
centrale in cui troviamo un neil young particolarmente ispirato al
pianoforte. my angel è una buona prova di versatilità da parte di
stills mentre pre-road downs è l'immancabile rock 'n' roll di nash
che scalda il pubblico (come se ce ne fosse bisogno, a questo punto
siamo sulle due ore e mezza di roba ormai). ma ancora una volta è
young a fare da mattatore con l'autobiografica don't be denied,
arricchita dalle tre chitarre a disposizione, e una revolution blues
massacrante che nel live trova la sua dimensione perfetta, proprio
come on the beach sul primo disco. military madness è la marcia
anti-guerra perfetta che sfocia nel coro “no more war” di tutto
lo stadio; da notare come comunque la cosa suoni ben più studiata a
tavolino e freddina di come sarebbe stata negli anni d'oro delle
proteste. non che metta in discussione il crederci da parte di nash,
quanto da parte del pubblico che nel '74 non viveva certo questi
concerti come 5 anni prima poteva vivere woodstock. altri tempi,
altra gente, ma long time gone rimane sempre la canzone della madonna
che è, anche in questa versione non perfetta. e dopo l'ultimo
inedito di young, pushed it over the end, molto in linea con i pezzi
di times fades away, arriva la doppietta finale con l'inno nash-iano
per eccellenza, quella chicago simbolo di tutti i protestanti
capelstati dall'america dei ricchi e potenti e poi, tanto per
rincarare la dose, arriva ohio a chiudere i giochi, in versione lenta
e pesante, dilatata dagli assoli e cantata in simbiosi dai quattro
sballati là sul palco.
ve l'avevo detto che sarebbe stata
lunga. e vi dirò di più, non ho ancora finito. già, perché ci
tengo a farvi sapere quanto sia bella la confezione, che a una
copertina non certo originale abbina invece un booklet bellissimo,
pieno zeppo di foto e con un bellissimo scritto di pete long, giornalista e scrittore americano, che vi spiegherà molto meglio e
più approfonditamente di me come sono andate estattamente le cose.
fidatevi, è roba da leggere assolutamente per capire il valore di
questo disco. del quale, manco a dirlo, sconsiglio come la peste
l'oscena versione cd singolo che si trova in giro. davvero, buttate
via soldi, non vi servirà assolutamente a nulla, prendete il triplo
e fate come me, il vostro best of da macchina ve lo masterizzate voi.
esiste anche una versione triplo bluray con i tre dischi a
24bit/192Khz; il mio dubbio al riguardo è semplice: sono
registrazioni recuperate, tagliate e remixate dal 1974, registrate in
analogico, la fedeltà migliore che possiate desiderare la troverete
col vinile, non col bluray, che mi pare un po' una cosa fatta per cavalcare
l'onda senile di young e del suo pono (cavalca il pono!). certo, poi il cofanetto coi
vinili vi costa più o meno come casa vostra, ma questa è un'altra
storia.
spero che, almeno per chi mi ha seguito
fin qui, sia chiaro il valore che attribuisco a questo live. era un
tour non documentato di uno dei gruppi più famosi di sempre, era il
primo tour in assoluto a svolgersi esclusivamente negli stadi,
avveniva in un periodo critico per l'america tutta e lo rappresenta
alla perfezione, oltre a contenere, a livello puramente musicale,
alcune versioni veramente da strapparsi la faccia di canzoni epocali
magari mai pubblicate live, il tutto immerso in un suono pressoché
perfetto, dal mix intelligente e mastering non invasivo che mantiene
intatte le dinamiche espresse dalla band. sarà anche un live del '74
ma per quanto mi riguarda non c'è nessun dubbio: questo è il disco
dell'anno 2014, nessuno lo batterà, ve lo assicuro già adesso così come potevo dirvelo a maggio quando è stato annunciato.
vorrei dirvi una cosa come "se ve lo perdete non avete capito un cazzo della vita" ma poi mi dicono che sono un nazista. allora mettiamola così: io, fossi in voi, non me lo perderei. ma, per fortuna, non sono in voi, quindi fate un po' come vi pare, io sarò qui ad ascoltarlo a ruota ancora per qualche anno credo.