domenica 1 luglio 2018

nine inch nails, 'not the actual events, 'add violence', 'bad witch'

la prima cosa da constatare, tirando un sospiro di sollievo, è che dopo più di dieci anni di merda a palate finalmente i nine inch nails sono tornati a livelli artistici alti. ‘year zero’, the slip’, hesitation marks’, dimenticate tutta quella merda, quegli insulti ai fan di ‘fragile’ e ‘spiral’, quei mignolini alzati da fighetto dell’era macbook, la disarmante penuria di idee mascherata con ridicoli suoni da ableton; dimenticate tutto, come se non fosse mai successo. avevate perso le speranze? anch'io, e invece...




il primo capitolo è uscito nel dicembre 2016 e si chiama ‘not the actual events’; è il miglior capitolo della trilogia, il più inequivocabilmente nine inch nails, il più marcio e istintivo, semplicemente il migliore. ‘branches/bones’ attacca in faccia come ai tempi di ‘broken’, ‘dear world,’ apre spazi sonori commoventi su un beat insistente e alienante, introducendo uno dei fili conduttori di tutta la trilogia: l’alternanza tra strofe nervose e strette e ritornelli aperti e melodici che non risolvono però le tensioni.
‘she’s gone away’ è uno dei due capolavori, ha un’atmosfera con un che di voodoo, oscuro e religioso, marcio ma tremendamente profondo (il pezzo è stato usato anche da lynch nell’ultima stagione di twin peaks, mi dicono con grande effetto, ammetto di non saperne nulla). le urla umane e delle chitarre distorte in sottofondo, i feedback risonanti, un ritornello che è un mantra, le percussioni che ricordano i dead skeletons (ve li ricordavate? ricordavateveli!) e il loro pout-pourri sonoro da dr.john in trip electro-psych. gran bei momenti.
in ‘the idea of you’ è evidente l’apporto dato dalla batteria di dave grohl, una fisicità spinta che rimanda a ‘the downward spiral’. 
e poi c’è ‘burning bright (field on fire)’. questo pezzo è stato pubblicato in anteprima, quindi è la primissima canzone che abbiamo ascoltato di questo nuovo triplo progetto; oggi posso confermare che è anche la migliore di tutta la trilogia. è un pezzo che gioca con un muro di suono (soprattutto chitarre, con l’ospite dave navarro) che si collega a ‘the day the world went away’ ma lo fa con una disperazione ed una rabbia che mancavano nel suo capolavoro antenato, reznor urla tutto il tempo e canta ben poco, l’atmosfera è pazzesca, il suono di una profondità inusitata, sembra che ci si possa scavare dentro con le mani e il pezzo entra di diritto nell’ideale best of del gruppo. fine del primo atto, il più viscerale, violento e abrasivo, il discendente di ‘broken’ che non sfigura di fianco agli antenati. standing ovation.

luglio 2017, ‘add violence’ fra i tre è l’ep paraculo, ‘less than’ non lascia dubbi al riguardo: se qualcuno ha presente ‘this is a trent reznor song’ siamo lì, è tutto quello che vi aspettate da un pezzo dei nine inch nails sulla scia dei singoloni del passato, soprattutto da ‘the hand that feeds’ in poi. eppure funziona per l’ennesima volta, le melodie sono perfette, l’arrangiamento tamarro al punto giusto e il ritornello esplode e non ti molla più. la struttura dell’ep riprende quella del primo, inizio a mille con finale troncato, secondo pezzo che allarga, abisso reznoriano in mezzo e finale lasciato al suono puro. 
il secondo pezzo è ‘the lovers’ ed è un altro dei picchi della trilogia, una ballata insofferente, inquieta ed instabile, squarciata da un ritornello commovente; ‘this isn’t the place’ gioca con le stesse suggestioni voodoo di ‘she’s gone away’ ma non riesce davvero a raggiungerne il livello, pur essendo un bel pezzo (che poteva stare da qualche parte su ’the fragile’); stessa identica cosa succede con ‘not anymore’, non brutta ma non certo essenziale. 
‘the background world’ invece è un altro trip di quelli da ricordare. è un pezzo medio-lento che si distingue per una melodicità instabile che continua a presagire qualcosa di orrendo; questo qualcosa sono gli ultimi 7-8 minuti di pezzo, durante i quali un unico loop di un paio di misure, appositamente preso fuori tempo, continua a distorcersi sempre di più fino a diventare un blocco nero indistinguibile. se la tecnica in sé non è certo nuova o originale, la drammaticità data al pezzo da questo crescendo alienante è incredibile. in generale questo secondo ep è quello che più ricorda ‘the fragile’ per atmosfere, costruzioni soniche ed intensità emotiva. non sconvolge e coccola con un suono già noto ma lo fa in maniera eccellente. 

giugno 2018, ‘bad witch’ ci viene venduto da trent come un disco intero ma di mezz’ora di durata. vedetelo come vi pare, poco importa, è comunque la terza ed ultima parte parte della trilogia. il mio parere è che almeno un paio di pezzi siano stati aggiunti quando l’ep era già finito, due pezzi di troppo anche nel contesto generale, piuttosto sciapi e inutili: ‘god break down the door’ e ‘over and out’, maldestri quanto poco utili tributi a david bowie che mostrano più i limiti di reznor come cantante “educato” che altro.
al contrario ci sono almeno due nuovi picchi, nella forma di due strumentali clamorosi che rispondono al nome di ‘play the goddamned part’ e ‘i’m not from this world’. qui davvero reznor mostra una possibile strada futura per il suono dei nine inch nails, costruendo uno suono che parte dagli strumentali di ‘the fragile’ e li filtra con una nuova sensibilità, quella che aveva funzionato piuttosto bene nel disco dei how to destroy angels. sembrano jam elettro-psichedeliche, nelle quali il ritrovato sax di trent si produce in loop, distorsioni, delay, loop e effetti vari, intrecciandosi con la texture di percussioni elettriche e acustiche mentre il suono attorno viene allestito lentamente. tutta la classe e la finezza che mancavano dal 2005 nella discografia del gruppo. forse il grande merito di questo terzo atto è proprio di riuscire ad essere contemporaneamente marcio e stiloso, come ai bei tempi.
restano le buone ‘shit mirror’ (eddai) e ‘ahead of ourselves’ in apertura, nulla di eccelso ma neanche di terribile, due pezzi tirati che però non toccano le vette del primo ep.

in generale si nota una ritrovata ispirazione, una creatività che sembrava morta e sepolta (se non per qualche colonna sonora) e invece oggi esplode nuovamente dopo un letargo di più di 10 anni. c’è purtroppo da notare come i tre ep siano andati in calando come qualità media, pur andando da ottimo a buono senza mai toccare l’insufficienza. l’apporto di atticus ross sembra finalmente integrato nel suono del progetto e non suona più come un fastidioso intruso, c’è un’instabilità e un senso di pericolo che mancava da ‘with teeth’, c’è un suono avventuroso e coinvolgente che non ha necessariamente bisogno della dimensione live per dire qualcosa, ci sono melodie memorabili e arrangiamenti dinamici e fantasiosi.

sembrerà poco forse ma per chi è cresciuto a pane e ‘fragile’ e poi si è ritrovato davanti ‘year zero’ non è poco per un cazzo. un giorno forse vi parlerò di quel disco. o forse sarò riuscito finalmente a dimenticarmi che esiste, grazie anche a questi tre ep.