ps: blogger non mi fa incorporare la mia playlist col meglio del 2020 per cui vi beccate il link, dovrete fare la fatica immane di cliccarci sopra, mi spiace.
https://youtube.com/playlist?list=PLRxkRYHqZM_XxlnWmqqj9Nog4XjYQ18wi
ps: blogger non mi fa incorporare la mia playlist col meglio del 2020 per cui vi beccate il link, dovrete fare la fatica immane di cliccarci sopra, mi spiace.
https://youtube.com/playlist?list=PLRxkRYHqZM_XxlnWmqqj9Nog4XjYQ18wi
io amo i mr.bungle. se voi non amate i mr.bungle, abbiamo un problema, sappiatelo.
perché amo i mr.bungle? perché sono (stati) uno dei gruppi più liberi, indipendenti e creativi che abbia mai avuto la fortuna di sentire. hanno iniziato facendo thrash metal, poi hanno fatto progressive-ska-metal, poi hanno fatto noise recitando in italiano, poi sono finiti a sorseggiare margarita su spiagge aliene. lo facevano come un gruppo di amici che si divertiva a mettere le proprie incredibili competenze musicali al servizio di idee che potevano anche sembrare completamente imbecilli ma avevano alla base una genialità incontenibile. ok, poi a volte erano completamente imbecilli.
si sono sciolti, i mr.bungle, dopo ‘california’. hanno detto basta, non se ne parla più, non rompete il cazzo. tutti persi via in mille progetti, a partire da mike patton ovviamente che a quel punto era completamente svincolato.
questo almeno fino ad agosto 2019, quando è uscita dal nulla la notizia della reunion. tutti impazziti, tutti felici, cosa fanno? tre concerti a los angeles in cui suoneranno il loro primo demo.
uhm?
sì, saranno accompagnati da dave lombardo alla batteria e scott ian alla seconda chitarra.
eh?
non solo, pubblicheranno anche una nuova versione ri-registrata di tutto il primo demo con questa formazione.
eccolo qui.
vi ricordate i fiati ska, l’elettronica ambientale, gli effetti noise, i cori, i groove smooth, la sperimentazione? bene, eccovi 55 minuti di thrash metal direttamente dal 1986.
anacronistico, direte voi. assolutamente, al 100%, se non fosse che questa musica è stata effettivamente pubblicata per la prima volta nell’86 ma in qualità atroce: questo è un rendere giustizia a quelle idee macellate da una registrazione a dir poco scadente.
e funziona?
cazzo se funziona. non solo funziona, è una festa, ‘the raging wrath of the easter bunny’ è uno dei dischi metal più divertenti degli ultimi tempi, puzza di chiodo e birra e sa di san francisco (non a caso). è puro thrash, non sentivate lombardo così scatenato da anni, il suo suono è secco e devastante, una versione moderna di quello di ‘reign in blood’ e la sua prestazione è straripante, così come quella di mike patton che dimostra cosa manchi davvero al 90% dei gruppi nel genere: un cantante. le sue urla sono animali e la sua duttilità dona dinamica a brani che di dinamica ne hanno ben poca e le sue trovate imbecilli sono perfettamente inserite nel tono tra il serio e il cretino del disco.
tutto il mix è secchissimo, le chitarre sono in faccia e sono super tight, stiamo parlando del resto di due chitarristi fantastici. non fatevi ingannare dall’aspetto cacofonico degli assoli, trey spruance da bravo nerd se li è studiati uno per uno costruendoli su scale modali e utilizzando varie tecniche che dimostrano la sua inarrivabile versatilità.
come non menzionare poi la prova di trevor dunn al basso. già il fatto che si senta il basso in un disco thrash è un miracolo, in più lui ci mette del suo con una prestazione che non solo indurisce l’impatto ma aggiunge anche melodie e controtempi inaspettati alle trame dei pezzi.
‘anarchy up your anus’, ‘hypocrites’, ‘eracist’, ‘sudden death’, tutte perle da un mondo passato, un modo di fare metal che non ha nulla di moderno a parte mix e mastering ma che vi spezzerà le ginocchia proprio come i classici del genere. del resto se all’epoca fosse stato registrato dignitosamente, non escludo che oggi lo metteremmo proprio di fianco ai capolavori di quel periodo. vallo a sapere.
…e ora di nuovo non si sa, non han voglia di fare un disco, han fatto un concerto in streaming… staremo a vedere cercando di non aspettarci niente, visto che dai mr.bungle non sai mai cosa arriverà, se arriverà qualcosa. di una cosa siamo tutti abbastanza sicuri: se arriverà, sarà un’altra figata.
non si può non amare i mr.bungle.
io amo i mr.bungle.
l’intonazione naturale si discosta dal temperamento equabile (il metodo di accordatura usato abitualmente) poiché invece di correggere le piccole imperfezioni nelle relazioni matematiche tra le note mantiene ogni intervallo basato su proporzioni “pure”. è un discorso lungo e complicato, per farla semplice: il sistema che usiamo abitualmente ha la comodità di non richiedere di ri-accordare gli strumenti per ogni cambio di tonalità poiché le distanze fra le note sono “aggiustate” mentre con l’intonazione pura bisogna calcolare le distanze sempre partendo dalla tonica per preservare gli intervalli naturali, questo risulta in sovrapposizioni di note che limano le dissonanze e i ribattimenti, cambiando la nostra percezione della musica.
gli horse lords, dicevamo. fanno musica che è modulare ma anche no, mi spiego. i movimenti degli strumenti ritmici (e spesso anche del sax) sono a blocchi ma raramente tutti gli strumenti cambiano insieme, creando un continuo movimento disorientante ma mai aggressivo o disturbante. insieme a questo troviamo però anche synth che attraversano le tracce per il lungo, dando continuità e distaccandosi dal movimento modulare. oltre a questo, la loro musica fa man bassa della tradizione ritmica africana, fatta di pronuncia e cicli ritmici, basandosi proprio su questo aspetto più che sull’armonia.
musica psichedelica, senza dubbio, derivata anche da esperienze con sostanze psicotrope (cosa apertamente dichiarata dal gruppo) che allo stesso modo cerca un’alterazione dello stato mentale dell’ascoltatore, lo rapisce completamente escludendo il mondo esterno o modificando la percezione che se ne ha.
le trame strumentali sono secche e fittamente intrecciate senza la minima imprecisione, non c’è alcun dubbio sul fatto che i 4 di baltimora siano dei musicisti eccezionali. ciò che più rapisce di ‘the common task’ è la sua fluidità: nonostante le geometrie cerebrali, gli spigoli e il disorientamento di cui sopra, la musica scorre in modo naturale e non vuole mai stupire con colpi di scena o gesti clamorosi. la batteria di haberman rotola sbilenca in modo ritmicamente molto fantasioso, la chitarra di gardner potrebbe ricordarvi andy summers, robert fripp, jeff parker, è un continuo lavorare su cluster e cellule che prende tantissimo dalla musica africana; il basso si inserisce in mezzo ai due con pedali che sanno ora di afrobeat, ora di kraut rock mentre il sax di bernstein è spesso protagonista con suoni allucinati che possono allinearsi alla griglia ritmica o solcarla con lunghi droni che danno drammaticità allo svolgersi dei pezzi.
mix e master sono ottimi, mantengono la naturale percussività degli strumenti e non snaturano le dinamiche dei pezzi, fondamentali per il viaggio. c'è un bell'impasto generale che non toglie mai spazio agli strumenti, facendoli uscire sempre nel momento giusto.
‘the common task’ è un disco incredibile, intelligentissimo, profondo e ricercato ma anche godibile e coinvolgente (di certo dal vivo farebbe ballare un sacco di persone), ha il suo apice nei 18 eccezionali minuti della conclusiva ‘integral accident’ (aperta da una lunga sezione in cui compaiono gli ospiti del pezzo: fisarmonica, violino, fagotto e voce femminile, rapisce poi con un crescendo magistrale) ma non conosce momenti di stanca, che sia l’africa psichedelica di ‘people’s park’, la vertigine ritmica di ‘fanfare for effective freedom’ o la paradisiaca oasi di droni di cornamusa manipolata ‘the radiant city’. una volta che ci si sprofonda sarà molto difficile dimenticare l’esperienza, consigliatissimo a chiunque cerchi musica “diversa”.