eccoci al resoconto finale di un anno che è stato abbastanza noioso e piatto a livello musicale. comunque almeno dieci gran dischi ci sono stati per cui eccoveli qui, come sempre senza un ordine particolare.
un blocco nero, gnucco e asfissiante da cui ogni tanto filtrano lame di luce abbagliante, quasi come dei khanate che volessero rendersi più “””approcciabili”””, i sumac si sono superati e hanno fatto un disco davvero bellissimo.
the decemberists, ‘as it ever was, so it will be again’
anche i sassi sanno quanto gli voglio bene e dopo avermi un po’ deluso con il mediocre ‘i’ll be
your girl’, gli americani centrano un disco meraviglioso in cui tutte le anime della band sono perfettamente supportate dalla scrittura ispirata di meloy.
uniform, ‘american standard’
la continua crescita degli uniform li ha portati a pubblicare il loro personale capolavoro, un disco sofferente, crudo e violento in cui post-hardcore, metal, industrial ed elettronica collaborano per creare un suono terrificante.
pyrrhon, ‘exhaust’
era da un po’ che i pyrrhon non mi entusiasmavano così, sarà per la massiccia iniezione di today is the day o anche solo per l’ispirazione ritrovata, sta di fatto che ‘exhaust’ è un monolite tra death metal e post-hardcore davvero notevole.
blemishes, ‘ambivert'
sorpresa del 2024, il texano julienne ceron ha impiegato 5 anni per dare vita a questo ‘ambivert’, opera schizofrenica in cui a parossistiche esplosioni di suono si contrappongono scenari ambient e delicati momenti intimi, stupendo.
the necks, ‘bleed’
spazio, silenzio, vuoto, respiro, i necks dopo più di trent’anni di carriera ancora riescono ad esplorare territori (quasi) nuovi in maniera più che convincente con una suite in cui lo spazio tra le note è molto più importante delle note stesse.
full of hell, ‘coagulated bliss’
‘coagulated bliss’ mostra un lato groovy e quasi melodico dei full of hell finora poco eplorato, senza tralasciare le normali bordate grind-death-noise col sangue agli occhi. bellissimo come sempre ma anche un po’ diverso dal solito.
oranssi pazuzu, ‘muuntautuja’
non mi sono mai dispiaciuti ma neanche piaciuti davvero, invece con ‘muuntautuja’ i finlandesi mi hanno proprio convinto, un album in cui il suono si fa davvero marcio e l’elettronica gioca un ruolo importante quanto il black metal, bello bello.
mitochondrion, ‘vitriseptome’
ci sono voluti 13 anni ma ne è valsa la pena, il ritorno dei canadesi prende la forma di quasi un’ora e mezza di devastanti labirinti death metal, continuamente sporcati di black e/o thrash e composti magistralmente, ogni ascolto rivela nuovi segreti.
per finire, come da tradizione, ecco il fondo del barile, un paio di schifezze giusto per gradire.
blood incantation, 'absolute elsewhere'
dopo l'eccellente 'history of the human race' i blood incantation se ne escono con una cagata cosmica fatta di riff (bruttini) incollati a caso, ospiti pretestuosi e una buona dose di presunzione non giustificata, orrendo.
opeth, 'the last will and testament'
c'erano una volta gli opeth, un gruppo serio che faceva musica ispirata e profonda. oggi c'è la mikael åkerfeldt band che suona cazzatine senza una logica, gelidi giochini che sembrano imbarazzanti tributi messi in fila, ridicolo.