lunedì 9 aprile 2018

prince, 'graffiti bridge'


tra il 1980 e il 1989 si può dire che prince non abbia sbagliato niente. il disco meno riuscito del decennio è ‘controversy’, che comunque conta sulla title-track e ‘let’s work’ come punte di diamante, più una manciata di pezzi che magari non sono eccezionali ma di certo non annoiano mai. dal ’90 in poi è un’altra storia, dischi altalenanti, scenate da primadonna e quant’altro. ‘graffiti bridge’ però è il disco con cui si aprono gli anni ’90 di prince ed è una grandissima paraculata: praticamente è un best of di materiale inedito scritto nel decennio precedente, conta quindi su un livello di ispirazione ancora altissimo, nei suoi momenti migliori compete coi capolavori da poco passati, nei peggiori lascia presagire lo sbando che seguirà di lì a poco.

partiamo dalla sua pecca peggiore, l’essere colonna sonora di una merdazza di """film””” girato col culo, recitato peggio e scritto… no, non son convinto che qualcuno abbia scritto qualcosa. spero sinceramente di no. se già ‘purple rain’ non era esattamente un’opera cinematografica imprescindibile ma stava in piedi in qualche modo e ‘under the cherry moon’ provava almeno ad avere una trama (demenziale, sul serio), qui siamo di fronte ad un abominio che non auguro a nessuno se non per ridere davvero tanto. lasciamo quindi perdere questa cosa, facciamo finta che non sia mai successa e parliamo del disco.
i revolution hanno fatto il loro corso e già da qualche disco non esistono più se non a pezzi sparsi qua e là, il nanetto si è ripreso il controllo totale della sua musica e la sua stagione d’oro sta tramontando sulle note della colonna sonora del ‘batman’ di tim burton così come tutti gli anni 80. ma lui non contento vuole reinvetarsi per entrare nel nuovo decennio ed ecco arrivare la new power generation, nuovo supergruppo che accompagna il signor nelson per buona parte dei ’90. quindi sono loro che suonano su 'graffiti bridge’? no, suona quasi tutto prince e gli altri stanno a casa, a parte per qualche coro.

è un disco che poteva durare quasi metà del tempo totale (70 minuti, benvenuti anni ’90) e che ogni tanto si perde via in cazzatine che lasciano il tempo che trovano ma cercano giustificazione nella presenza di ospiti più o meno illustri. l’album si può dividere in due tra pezzi riciclati dal passato e pezzi nuovi. nella seconda categoria troviamo almeno una perla, ‘thieves in the temple’, immersa in un’atmosfera esotica e trainata da un beat tamarro e martellante, un esempio perfetto della capacità di arrangiatore creativo di prince; troviamo nella stessa categoria anche quelle cazzatine di cui sopra, siparietti tragicomici come ‘release it’, ‘love machine’, ‘shake!’ (tutti pezzi dei time), momenti inconcludenti e momenti carini, per quanto non memorabili, come ‘elephants and flowers’.

quando invece parliamo di pezzi vecchi… beh c’è poco da fare. a un disco che può mettere in fila ‘we can funk’ (con george clinton) e ‘joy in repetition’ cosa gli vai a dire? la prima arriva da precedenti versioni torrenziali (la prima dell’83) che arrivavano a più di dieci minuti di durata, c’è chi preferisce di gran lunga queste versioni a quella edita su ‘graffiti bridge’, io non sono d’accordo: sono sicuramente diverse, le altre suonano più ‘geniune’ ma questa suona davvero bene e l’apporto clintoniano e dei vari coristi e fiatisti (eric leeds, atlanta bliss oltre a wendy e lisa non accreditate) dona un’aria quasi epica alla coda finale. ‘joy in repetition’ invece arriva dal marasma di materiale scritto intorno all’86, tutta quella roba che non è mai finita su ‘dream factory’, ‘crystal ball’ o ‘sign o the times’; è un pezzo ipnotico, venato da una malinconia profonda e straziato sul finale da un solo di chitarra da tramandare ai posteri. è buffo che anche l’incredibile ‘the question of u’ si possa descrivere quasi con le stesse parole (questa però risale all’85), beat ipnotico, una prestazione vocale strappamutande e un assolazzo di chitarra come solo lui sapeva fare.
‘can’t stop this feeling i got’, 'new power generation', ‘tick tick bang’, ‘melody cool'… tutti pezzi vecchi o stravecchi  (‘can’t stop’ è dell’82 così come 'bold generation' da cui deriva 'npg' che mantiene la traccia di batteria originale suonata da morris day) riarrangiati, risuonati, manipolati in qualche modo, tutta roba carina ma nulla di irrinunciabile, così come la versione spiritual/gospel di ‘still would stand all time’, questa sì ben più interessante nelle sua versioni precedenti.

non è un best of, non è un disco nuovo, non è un disco di b-sides… è una via di mezzo tra tutto questo e, come sempre in questi casi, il risultato è altalentante: momenti di genio che vi daranno la pelle d’oca e momenti che, alla meglio, vi faranno sorridere un po’ imbarazzati.