krzysztof komeda, nato
krzysztof trzciński il 27 aprile del 1931, è stato non solo uno dei
più grandi pianisti del jazz polacco ma anche uno dei migliori
esempi di come il jazz possa rielaborare materiali diversi da quelli
americani per intrecciarsi con le tradizioni locali di tutti i paesi
del mondo.
il suo percorso iniziò
ad ostrów wielkopolski dove frequentò il ginnasio, prima di
spostarsi a poznań dove studiò per diventare un
otorinolaringoiatra. proprio la professione medica che intraprende
sarà ciò che lo porterà ad adottare un nome d'arte per la sua
carriera musicale, poiché all'epoca il jazz non era ben visto dal
regime sovietico e questa sua passione avrebbe potuto compromettere
la sua posizione di medico.
incontro fondamentale fu
quello con witold kujawski, famoso contrabbassista che portò komeda
a cracovia facendogli scoprire il fermento che il jazz viveva,
sebbene di nascosto, nella città polacca. in questo periodo komeda
suona dalla musica leggera al be-bop al dixieland, assimilando i vari
linguaggi dei diversi stili, prima di formare il komeda sextet con,
tra gli altri, il sassofonista jan
ptaszyn wróblewski e il vibrafonista jerzy milian. a questo periodo
risale l'esibizione (e relativa registrazione del concerto) al primo
jazz festival di sopot, da qui inizia un percorso di crescita e
maturazione artistica inesorabile, che porterà komeda ad esplorare
le vie più moderne ed evolute del jazz oltre che a lanciarlo nel
mondo del cinema come compositore di colonne sonore: la sua lunga
collaborazione con roman polanski dura per dieci anni, dal 1958 al
1968. in questo tempo il pianista scrive le colonne sonore di film
come “knife in the water”, il
corto muto “two men and a wardrobe”, “cul-de-sac” e il
famosissimo “rosemary's baby”, accrescendo così la sua fama e
stima da parte del mondo jazz.
verso la metà degli anni
'60, komeda forma un nuovo quintetto con musicisti che sono tra i più
importanti jazzisti europei: tomasz stańko alla tromba, zbigniew
namysłowski al sax alto, rune carlsson alla batteria e günter lenz
al basso, oltre ovviamente allo stesso komeda al piano.
namysłowski ha iniziato
a studiare musica suonando il violoncello e il pianoforte, col quale
avrà le prime esperienze jazz prima di passare al trombone e infine
al sax alto. ha sempre fatto un punto di forza delle sue radici
polacche, portando nel fraseggio melodie tipiche della sua terra.
stanko, anch'egli
polacco, si distingue per una ricerca timbrica che lo ha portato
negli anni a fare esperienze fra le più disparate, dalla
collaborazione con la globe unity orchestra ai dischi di jazz moderno
per la ecm, passando per un suggestivo album registrato in solitudine
in parte nel taj mahal e in parte nelle caverne di karla in cui dà
prova di un controllo timbrico e coloristico impressionante.
günter lenz, bassista
tedesco, all'epoca era già stato con il quintetto di albert
mangelsdorff; passa al basso nel '59 dopo aver studiato chitarra e
durante la carriera suona con personaggi come oliver nelson, george
russell, coleman hawkins e joachim kühn, oltre a scrivere anche
arrangiamenti orchestrali per placido domingo.
completa il gruppo rune
carlsson, eclettico batterista svedese che negli anni è passato dal
dixieland al jazz moderno di bobo stenson, oltre a collaborazioni con
il bassista e poeta americano red mitchell e con l'hammondista
progressive svedese bo hansson.
con questa formazione, la
notte del 5 dicembre 1965, nella sede della warsaw philarmonic viene
registrato “astigmatic”, personale capolavoro del pianista
polacco nonché uno tra i massimi apici del jazz europeo. in questo
disco infatti tutti gli elementi della poetica di komeda convergono
in tre composizioni perfettamente equilibrate fra complesse
strutture, vasti spazi modali, lirismo eurocolto e improvvisazione
jazzistica.
il tema del brano che da
il titolo all'album è un lungo crescendo, fortemente strutturato nei
suoi cambi di tempo improvvisi. già solo nel tema si possono
ritrovare quasi tutti gli elementi che contraddistinguono lo stile di
komeda: la struttura è netta ma si adatta alle necessità narrative
della musica (come una colonna sonora si adatta alle immagini) e
l'interplay del gruppo evita di farla suonare rigida; lo swing è
evidente nel beat esplicito della batteria, fatto anche di semplici
colpi in quarti che rimandano ad una ritmicità ancestrale e
primitiva, il tocco del piano è più morbido rispetto ai canoni
afroamericani, filtrato anche dagli studi classici del pianista,
eppure il suo modo di suonare è assolutamente jazzistico nel
punteggiare e commentare continuamente gli eventi sonori. risalta
subito anche la vena lirica del polacco: le melodie del tema riescono
ad essere emozionalmente coinvolgenti e piacevoli all'ascolto, cosa
non comune al jazz sperimentale degli anni '60.
komeda è un regista
musicale, il risultato che ottiene è un suono fortemente collettivo
in cui ogni individuo ha spazio e modo per esprimere la propria
sensibilità e questo diventa ancora più evidente quando iniziano
gli assoli. quello di piano riesce a far convergere
nell'improvvisazione tutti gli elementi finora citati,
strutturazione, elasticità swing, linguaggio vario e fantasioso
(parker, chopin, bill evans). difficile confondere questa musica con
quella americana, la mancanza di colori blues fa sì che non si
sbilanci mai e l'atmosfera, aiutata anche dall'ottima registrazione,
ricorda più la musica da camera europea dove ogni strumento ha una
sua voce e spazio ben definiti all'interno dell'organico.
l'assolo di stanko alla
tromba nasce da un momento aperto e aritmico con frasi leggere e dal
suono tondo, andando lentamente assieme alla ritmica a riprendere il
tempo ossessivo del tema e spostandosi su un linguaggio e suono più
taglienti e marcati, non lontani dall'idea sonora del miles davis
anni '60. quando la tromba resta da sola con il contrabbasso, la
poeticità del momento anticipa di un paio d'anni le idee che
porteranno herbie hancock alla registrazione di “maiden voyage”;
in questi momenti di alleggerimento dell'impasto, risalta la
continuità del lavoro di komeda con le colonne sonore da lui
composte: anche questa è musica altamente immaginifica e descrittiva
che fa largo uso anche di escursioni dinamiche per raccontare una
storia.
l'influenza della musica
di coltrane si fa sentire durante il solo di namysłowski, sia per il
fraseggio del sassofonista, sia per l'accompagnamento torrenziale
della ritmica che poi si dissolve lasciando l'altista da solo a
dipingere note sul silenzio; il linguaggio alterna esplosioni
coloristiche a raffiche di note che ricordano da vicino gli sheet
of sound, anche se l'atmosfera
musicale è molto lontana da quella di coltrane. da qui si passa
senza soluzione di continuità all'assolo di lenz al contrabbasso: il
silenzio lasciato dal sax di namysłowski va presto riempiendosi
della melodicità percussiva del tedesco, il quale gioca con tutto il
registro dello strumento prima di riprendere il tempo martellante del
tema.
le percussioni di
carlsson arrivano al solo per ultime, come da tradizione jazz; il suo
linguaggio è fatto di classici riferimenti jazz (max roach, joe
morello) tanto quanto di influenze moderne, quelle che a metà anni
'60 stavano esplodendo grazie al lavoro di elvin jones e tony
williams. carlsson non usa i cicli ritmici come jones ma il suo suono
è grosso e pieno in modo molto simile all'americano, soprattutto per
quanto riguarda la grancassa; di contro alcuni momenti di fraseggio
stretto, rapide raffiche di colpi, rivelano una sensibilità vicina a
quella di tony williams, senza comunque mai perdere in personalità.
i due brani che
completano l'album, “kattorna” e “svantetic”, si muovono
sulle stesse coordinate, accentuando ognuno alcuni aspetti
dell'originale suono di komeda.
“kattorna” si basa su
un motivo già comparso nella colonna sonora dell'omonimo film girato
da hening carlsen e lo rielabora alla maniera del jazz modale degli
anni '60, con una ritmica marcata e trainante a sorreggere il
suggestivo impianto melodico esplorato poi dai musicisti durante i
soli. tra questi spicca quello di stanko, durante il quale il
trombettista lavora di chiaroscuri dinamici, inserendo fini colorismi
e mantenendo un serrato interplay con carlsson. komeda da parte sua
si produce in un assolo sublime fatto di accordi dissonanti che
mantengono alta la tensione melodico-armonica, salvo risolvere
inaspettatamente in attimi di lirismo poetico.
“svantetic” è il
brano che chiude l'album, dedicato a svante foerster, poeta svedese e
grande amico di komeda. anche qui troviamo un tema che va formandosi,
giocando con momenti aritmici e larghi su una melodia ascendente
prima di assestarsi su uno swing instabile quanto funzionale al
brano. durante gli assoli è da notare come ai cambi di modo
corrispondano reazioni non solo da parte del solista di turno ma
dell'intero gruppo, continui crescendo che sono sia stimolo che
conseguenza dei solisti, meccanismo vicino a quello di “ascension”
di coltrane, sebbene molto diverso per risultato finale. invece
l'impalcatura armonica modale ricorda le sonorità delle composizioni
di wayne shorter di quel periodo, basate su blocchi modali che davano
grande libertà sia al solista che alla ritmica nell'accompagnamento.
in questo brano è possibile notare in maniera evidente quella che
nel tempo è stata definita come “forma ad arco”: già
all'interno del tema si trova un'esposizione, un climax ed una
risoluzione finale; ancora una volta si nota come il lavoro di komeda
nella musica da film abbia influenzato il suo metodo di composizione
jazz.
“astigmatic” è un
disco che centra in pieno un obiettivo, quello di dar prova della
vitalità e creatività del jazz europeo. in esso i canoni del jazz
afroamericano vengono sfruttati per lavorare su materiali che di
americano non hanno nulla ma prendono invece dalla tradizione sia
eurocolta (il tocco morbido, l'afflato cameristico) che folk (le
melodie legate ad una sensibilità dell'est-europa), oltre ad
aggiungere la peculiare capacità di komeda di creare delle vere e
proprie ambientazioni sonore per i brani, capacità derivante dalla
sua lunga esperienza nel campo delle colonne sonore. per questi
motivi è un disco epocale ed emblematico di un certo modo di fare
jazz in europa.