dopo il successo planetario di ‘empire’, la emi sta addosso ai queensryche chiedendo a gran voce un altro disco sulla stessa scia, fatto di melodie solari e ritornelli da stadio, del resto un sacco di fan in giro per il mondo hanno conosciuto il gruppo proprio con quel disco e non vedono l’ora di avere nuove canzoni da sparare in macchina.
gli è andata male.
se ‘operation: mindcrime’ è l’apice della teatralità dei queensryche, ‘promised land’ è la vetta del loro versante più cerebrale, oscuro e progressive. il paragone tra i due dischi finisce qui perché tra essi c’è un oceano, a livello di suono. c’è una sincera emozionalità mercuriale nei nuovi pezzi che tende ad aumentare i contrasti tra luci e ombre, rendendo gli spigoli più pericolosi e le poche luci più morbide. pochissime potremmo dire, visto che parliamo del disco più scuro, paranoico e intenso di tutta la carriera.
la stragrande maggioranza del materiale è firmato degarmo ma di fatto ‘promised land’, uscito nel 1994, è forse il disco più di gruppo che i queensryche abbiano pubblicato, con vari contributi di rockenfield e un faro perennemente acceso sulla sezione ritmica. è un disco eclettico, in cui si va dal metal alle ballate pianistiche, passando per groove ossessivi, melodie alienanti e tocchi di un’inedita psichedelia che purtroppo tornerà molto raramente. del resto è un disco che parla di perdita di identità psicologica, fisica e di alienazione, pensare ai pink floyd non è così fuori luogo.
dopo l’intro effettistica ‘9:28 am’, a firma rockenfield, ‘i am i’ esplode come nessuno si sarebbe aspettato. un 6/8 con un riff metal maligno e ribassato, modernissimo rispetto alla nostalgia 80s di ‘empire’, sostenuto da un tappeto incessante di batteria e percussioni e intrecciato con un sitar (suonato da degarmo). quando tate entra ci si chiede se sia lo stesso gruppo, il suo tono è aggressivo, acido, cinico e sapientemente trasfigurato da effetti digitali. la teatrale apertura con melodia mediorientale del ritornello è spiazzante quanto affascinante e il magico assolo che la segue porta definitivamente il pezzo tra i migliori mai scritti dai queensryche.
‘damaged’ è un hard rock più classico ma la tensione emotiva non cede mai, sostenuta soprattutto dalla drammatica prova di tate. se le composizioni sono di degarmo, è anche da dire che non avrebbero funzionato allo stesso modo senza un geoff tate al massimo della sua forma vocale che con questo disco alza ulteriormente l’asticella dei suoi standard, tanto che purtroppo non riuscirà mai più a raggiungerla di nuovo.
con ‘out of mind’ si calmano le dinamiche ma non la tensione: la batteria con pochi colpi crea un’attesa continua, ciclica, su cui il basso fluttua con linee bellissime mentre i classici arpeggi di chitarra sono trasfigurati in armonie aliene e ansiose. tate mostra un controllo impressionante mentre racconta di isolamento e follia ma il vero apice del brano è il commovente assolo di degarmo, uno dei suoi migliori in assoluto. ed è ancora lui il protagonista di ‘bridge’, ballata acustica dal ritornello più solare in cui si affronta il tema di un difficile rapporto tra padre e figlio, uno dei tre singoli tratti dal disco (gli altri erano ‘i am i’ e ‘disconnected’).
‘promised land’ è la prima canzone della carriera ad essere accreditata all’intero gruppo e questo si sente. su una struttura dai bordi sfocati e continuamente “disturbata” dai campionamenti di rockenfield, il gruppo allestisce uno psicodramma musicale in cui i vuoti contano più delle note suonate. tate suona per la prima volta il sax su disco e l’effetto è straniante, il basso è una pulsazione isterica e i pochi riff suonati ossessivamente dalle chitarre sono lenti, paludosi e paranoici, tutto quello che il pubblico di ‘empire’ non avrebbe voluto. il testo parla dell’alienazione da successo (sì, potete pensare a ‘the wall’) e tate lo interpreta con un trasporto che toglie il fiato, passando da sussurri ad acuti sguaiati.
‘disconnected’ concede un attimo di respiro ma lo fa in modo inaspettato, con basso e batteria in primo piano e un pesantissimo quanto groovy riff di chitarra mentre geoff si produce in uno spoken word inedito.
l’ansia torna a livelli altissimi con la straziante ‘lady jane’, con degarmo al piano e il gruppo ad accompagnare tate in una ballata drammatica che porta a ‘my global mind’, una delle poche luci in mezzo all’oscurità; è l’unico pezzo in cui ci sono tracce di ‘empire’ con una bella strofa e un ritornello luminoso, nonostante il testo tratti di perdita di se stessi di fronte ai cambiamenti portati dalla globalizzazione.
siamo quasi alla fine ma i queensryche non mollano la presa: ‘one more time’ è un pezzo soffocante, dalle ritmiche spigolose e marcato ancora una volta dagli strani riff di degarmo, bellissimo ma il gran finale è affidato a ‘someone else?’ e non potrebbe essere altrimenti. il solo degarmo al piano accompagna tate in un’interpretazione che sta là in cima assieme a ‘anybody listening?’ tra le più grandi prove vocali rock di sempre, il testo riassume efficacemente lo smarrimento di tutto il disco e l’intensità cresce a dismisura per poi crollare all’improvviso e lasciare il vuoto di una domanda senza risposta.
‘promised land’ è un disco unico e uno dei capolavori che i queensryche hanno pubblicato insieme ad altri grandissimi dischi, la definizione finale di quella tensione psicologica che da ‘rage for order’ è sempre stata presente e qui trova forma compiuta. oggi si può tristemente dire però che è anche l’ultimo grande disco del gruppo, ne seguirà ancora uno con degarmo, poi la rottura, l’era tate e nulla sarà mai più come prima.
carico dalle aspettative post-‘empire’, ’promised land’ schizza al terzo posto su billboard ma crolla in pochi giorni, raggiungendo “solo” un disco di platino e di fatto deludendo un sacco di persone per cui il nuovo suono del gruppo risulta troppo spigoloso, cerebrale e indecifrabile. il tour è un mezzo flop nonostante il gruppo sia in gran forma e finisce che la emi minaccia di scaricarli, le cose si mettono male ed è solo l’inizio.
per fortuna possiamo fare finta di niente e tornare ad ascoltare ‘promised land’, ancora e ancora e ancora.