lunedì 19 novembre 2012

neurosis, "honor found in decay"




il mio primo incontro con un disco dei neurosis è stato nel 2002 quando, un anno dopo la sua uscita, mi fu prestato "a sun that never sets". parlare di "colpo di fulmine" penso sia riduttivo, dal momento in cui è partita "the tide" la prima volta qualcosa mi è scattato dentro. quelle voci, quelle chitarre, le texture di suoni alieni, il rito tribale inarrestabile della batteria... poche cose al mondo mi hanno spaccato la faccia come i neurosis e ad oggi continuo a considerarli come uno dei gruppi più geniali ed unici che il rock "pesante" abbia mai visto o sentito.

a 5 anni dal trip nel buio di given to the rising ecco oggi arrivare a noi honor found in decay.
l'impressione dopo un primo ascolto è che il disco sia uno di quei parti "riassuntivi" che ogni tanto una band produce a un certo punto della sua carriera e la cosa non cattura molto. coi successivi ascolti la situazione cambia leggermente ma, per partire dal fondo, ci troviamo comunque davanti al disco meno "evoluto" e "out there", per dirla con miles, che i californiani abbiano registrato fino ad oggi. se ciò di per sé non è né un bene né un male, nel caso dei neurosis, band in continuo movimento da cui ci si aspetta sempre un passo in avanti, non è proprio una cosa bella. se a ciò aggiungiamo il fatto che il disco parte con "we all rage in gold", probabilmente il pezzo meno riuscito e interessante dell'album, si capisce che un'iniziale delusione possa essere molto facile.

ovviamente però i 6 di oakland hanno dalla loro anni di esperienza nello scrivere canzoni mostruose, nonché un suono che da solo vale il prezzo del biglietto (come al solito è pazzesco il lavoro di steve albini in cabina di presa, letteralmente da lacrime). quindi ecco arrivare subito una "at the well" (già presentata live nel 2011 insieme a "raise the dawn") che gioca a dondolare tra derive acustiche fortemente memori dei lavori solisti di von till e bordate tribal-industriali che sanno di through silver in blood a kilometri di distanza e mi fanno tanto tanto felice.
ma il meglio deve ancora arrivare: "bleeding the pigs" è un incubo di quasi 7 minuti che spegne ogni luce possibile e trascina in un baratro di drone e interferenze ed esplosioni di buio (e un riff di chitarra che sembra uscito dalle dita di chris de garmo, wtf??!). capolavoro del disco, uno dei più grandi esempi dell'estetica e dinamica dei neurosis di oggi.
non molto da meno è "all is found... in time", ovvero la versione prog dei neurosis più psichedelici, brano in continuo movimento che dipinge enormi spazi siderali prima di abbattersi sul collo come una mazza ferrata.

tra il resto dei brani si può citare lo stupendo, epico ed incessante riff di "casting of the ages" ma la chiusura con "raise the dawn", per quanto efficace, non resta molto addosso. non mi ha convinto nemmeno "my heart for deliverance", un buon inizio ed una buona fine ma una lunga parte centrale che allevia la tensione con una composizione in maggiore un po' troppo standard e poco neurosis (non mi va di dire "derivativa" ma quando entra un campionamento di spoken word il collegamento coi godspeed you black emperor è quasi immediato).
si fanno notare più del solito i synth e suoni di noah landis, spesso in primo piano e vere armi vincenti di un brano come "bleeding the pigs" e ciò è molto bello.

i neurosis non sono in grado di fare un disco pacco, con quel suono e la loro capacità di far tremare le montagne è difficile sbagliare. prima o poi però viene per tutti il momento in cui si dice: non è assolutamente brutto ma è il disco meno interessante che abbiano fatto da un sacco di anni. ciononostante tra un'atmosfera incredibile, i suoni di albini, le voci torturate di kelly e von till e almeno 2 pezzi incredibili e un capolavoro... per qualche anno possiamo essere a posto.

devin townsend project, "epicloud"




è difficile per me scrivere di questo disco. il motivo principale è la mia delusione nei suoi confronti.
è difficile perché solo un anno fa ero qui a godere infinitamente di tutta la grazia che deconstruction e ghost mi avevano riversato addosso. oggi ascolto epicloud e mi chiedo se ce ne fosse veramente bisogno.

passata l'intro il tutto parte subito malissimo: "true north" è molto probabilmente la più brutta canzone mai pubblicata da devin in un disco che non fosse di b-sides, con un testo imbarazzante e basata su soluzioni trite e ritrite che la voce della ritrovata anneke non fa che rendere ancora più mielose.
va poco meglio con "lucky animals", divertente auto plagio della geniale "bad devil" da infinity che piacerà tanto ai fan di ziltoid (il mediocre disco, non il geniale pupazzetto. viene un po' da chiedersi quanto devin abbia effettivamente voglia di fare ancora il buffone e se non sia più interessato a progetti evidentemente più sinceri e geniuni come ki o ghost.)
proprio da infinity viene recuperato un certo approccio melodico ed armonico etereo ma non altrettanto riuscito (vedi "where we belong", dignitosa appendice del succitato ghost buttata un po' in caciara da un ritornello fin troppo ridondante).

il vero problema dell'intero disco è proprio il suo venire dopo la quadrilogia del devin townsend project e volerne mantenere il nome: in quei quattro dischi il canadese ha portato alle estreme conseguenze ogni sfaccettatura del proprio suono per cui questo ulteriore capitolo risulta quantomeno superfluo.
non vuol dire poi che sia brutto: "save our now" ha un bel tiro con vaghe ombre di ocean machine, da "where we belong" ci si lascia cullare volentieri, l'intermezzo di "lessons" è forse la cosa migliore dell'intero disco che propone anche una "rilettura" di "kingdom" da physicist, invero completamente inutile in quanto pressoché identica all'originale. "divine" poteva tranquillamente stare su ki ed è una bella ballata dal retrogusto ambientale che anticipa il ritorno del delirio da deconstruction di "grace", bella ma non a livello di una "stand" o "juular" così come "more!" fa il verso a addicted senza averne la verve.

per concludere, "epicloud" non è esattamente un disco brutto, semmai è mediocre, ma il suo difetto fondamentale sta nella sua totale inutilità, sia all'interno del progetto devin townsend project, sia nella discografia in toto del canadese. se non lo conoscete non cominciate da qui, se lo conoscete lasciate perdere comunque, più di un paio di momenti divertenti non troverete.
peccato.